Mobbing: per inquadrare il fenomeno ed intervenire efficacemente
Negli ultimi anni nel mondo del lavoro sono avvenuti profondi e radicali cambiamenti: avanzare delle moderne tecnologie, nuove forme di contratto e job insecurity, innalzamento dell’età pensionabile e conseguente invecchiamento della forza lavoro, intensificazione del lavoro, squilibrio tra lavoro e vita privata. Questi mutamenti hanno determinato l’emergere nuove patologie ad eziologia psicologica. Trasversalmente ai settori lavorativi crescente è la consapevolezza che l’esperienza dello stress sul lavoro può comportare delle conseguenze negative per la salute degli individui da qui la necessità di procedere a periodiche valutazioni del rischio stress lavoro-correlato. Oggetto di particolare attenzione lo stress, il burnout e il mobbing.
Per inquadrare il fenomeno: alcuni dati
La violenza psicologica sul lavoro è un fenomeno presente in molti ambienti di lavoro e strettamente legata alla crescente insicurezza che caratterizza l’attuale mondo del lavoro.
In un’ indagine del 2013 il 6% dei lavoratori europei riferisce di aver subito un’esperienza di violenza, di tipo fisico o psicologico, sul posto di lavoro negli ultimi 12 mesi. In particolare, il 12% dei lavoratori intervistati riferisce di aver subito forme di violenza di tipo non fisico (ad esempio, attacchi verbali, minacce di violenza fisica o attenzioni di tipo sessuale) nel corso degli ultimi mesi. La violenza psicologica sembrerebbe essere più frequente di quella fisica ed i settori più colpiti sono quello sanitario, sociale e dell’amministrazione pubblica.
Il mobbing
Il termine mobbing viene utilizzato dall’Istituto Superiore Prevenzione e Sicurezza sul Lavoro per indicare una forma di violenza psicologica intenzionale, sistematica e duratura, perpetrata in ambiente di lavoro, volta all’estromissione fisica e/o morale del soggetto (o dei soggetti) dal processo lavorativo o dall’impresa.
In quali forme può manifestarsi il mobbing?
Gli episodi di mobbing possono essere classificati in funzione dei meccanismi su cui fanno leva. Possiamo così parlare di
1) mobbing strategico che si concretizza in un preciso disegno di esclusione di un lavoratore da parte dell’azienda e/o del management aziendale e di ridimensionamento della sua attività;
2) mobbing emozionale o relazionale che fa leva sull’esaltazione o esasperazione dei comuni sentimenti di gelosia, rivalità, antipatia… che connotano le relazioni interpersonali nel contesto lavorativo;
3) mobbing senza intenzionalità dichiarata che si concretizza in molestie morali esercitate da un pari che si sente minacciato.
Come si evolve il mobbing?
Si tratta di un fenomeno dinamico che si snoda in differenti fasi che possono essere così sintetizzate:
1) conflittualità generalizzata in cui è evidente l’esigenza di singoli di emergere;
2) canalizzazione della conflittualità verso un singolo che viene colpito sia sul versante lavorativo che privato;
3) perdurante conflittualità che inasprisce progressivamente le relazioni interpersonali e genera nel bersaglio fastidio e disagio;
4) la vittima inizia a manifestare senso di insicurezza e problemi di salute;
5) il mobbing diventa di dominio pubblico ed il caso oggetto di valutazione da parte dell’ufficio del personale;
6) peggioramento della condizione psico-fisica della vittima (possono manifestarsi forme depressive di entità variabile)
7) uscita dal mondo del lavoro a seguito di dimissioni volontarie, licenziamento, prepensionamento o, nei casi più gravi, suicidio, omicidio.
Cosa può fare lo psicologo?
Il lavoro con pazienti vittime di mobbing è tra l’altro volto a:
1) riconoscere che le problematiche portate in seduta hanno le loro radici nel contesto lavorativo;
2) identificare e spezzare i meccanismi che determinano il persistere del mobbing;
3) identificare ed utilizzare le potenzialità del paziente;
4) accogliere ed affrontare vissuti abbastanza trasversali quali solitudine, vergogna, senso di colpa e vendetta.